Il Teatro Nello Specchio

Carlo Goldoni è il grande commediografo veneziano che ha trasformato profondamente il teatro dell’epoca, introducendo sul palco la «verità» del quotidiano, fino a quel momento mascherata sempre dall’illusione della favola.
È appunto questa “verità”, la verità dell’esistenza con cui non si può non fare i conti, a scardinare ogni precedente certezza e ad innescare il corto circuito del teatro goldoniano.
Attraverso la sua riforma teatrale Goldoni solleva la maschera ai personaggi della commedia dell’arte e mette la società del suo tempo di fronte allo specchio.

Oggi viviamo nell’epoca delle immagini, almeno così tutti dicono. Ma paradossalmente mai prima d’ora è stato così difficile per ognuno di noi leggerle, analizzarle e interpretarle.
La velocità con cui le immagini vengono trasmesse, specialmente con le nuove tecnologie, sembra inversamente proporzionale alla nostra capacità di comprenderle in tutta la loro complessità.
Instagram e i selfie sono la risposta di oggi a questa fame di immagini.

Zanellato/Bortotto

L’unico oggetto che è stato inestricabilmente legato all’idea di immagine attraverso tutte le epoche, dall’arte alla letteratura, dai nuovi media al design, è sicuramente lo specchio. Il quale proprio perché riflette ciò che lo circonda, ma anche l’immagine di chi lo guarda, è da sempre intriso di forti connotazioni simboliche.

Il progetto Il Teatro Nello Specchio, ideato e organizzato da Veniceartfactory e Ongaro e Fuga, attraverso la selezione di alcuni designer, che presentano degli specchi contemporanei realizzati con le antiche tecniche di lavorazione muranesi, cerca di interrogarsi sul vuoto che separa la nostra immagine dal nostro essere.

La riflessione di noi stessi sulla superficie specchiata, così come quella degli altri, è assolutamente specifica e unica e proprio questo rende l’immagine di noi riflessa senza dubbio la più complessa da leggere e interpretare.

Simone Crestani

Nello specchio, come nel teatro, riconoscimento e illusione si confondono, dando origine a un disordine interiore legato al nostro costante desiderio di leggere la nostra identità qui, nell’immagine riflessa o nel personaggio che vediamo recitare sul palco.